
“La stanza degli abbracci”. Sembra il titolo di un romanzo, di una poesia, di un quadro. Invece è il titolo di uno spot per la promozione della campagna di vaccinazione anti-Covid, cui hanno collaborato grandi personalità del mondo dello spettacolo su richiesta del commissario straordinario per l’emergenza Domenico Arcuri.
Ne è nato un piccolo gioiello che porta le firme di due premi Oscar: il regista Giuseppe Tornatore, che ha ideato e diretto il corto, e il musicista Nicola Piovani, autore della colonna sonora.
Ho guardato con attenzione e più volte il video, il primo di una serie di quattro spot, nella duplice veste di spettatrice e destinataria. Dopo un iniziale momento di perplessità, mi sono innamorata di questo poetico racconto per immagini, efficace nel messaggio, raffinato e suggestivo nella forma.
La scena si apre su un’ampia stanza, due sedie, una accanto all’altra, un uomo e una donna di spalle. Un grande telo di plastica divide l’enorme sala: da una parte i degenti, dall’altra i visitatori, due mondi lontani, eppure vicini se si considera che il confine tra malattia e salute non è così netto e che le sorti possono capovolgersi in un battito di ciglia. Il telo, il vero grande protagonista dello spot, ondeggia come mosso da un vento invisibile, producendo un rumore cristallino, un suono di onde leggermente increspate. Le pareti sono interrotte da enormi finestre attraverso le quali entra una luce bianca e opaca.
Un’atmosfera onirica, fiabesca, vagamente felliniana pervade la scena, prevale un unico tono cromatico, il grigio, a evocare il freddo degli ambienti incolori e asettici degli ospedali, delle case di cura, dove gli anziani spesso, lontani dai propri cari, smarriscono se stessi, inerti spettatori di una vita che scivola via. Una giovane donna, ripresa di spalle, cammina con elegante incedere verso un’anziana signora, in trepida attesa al di là del tendone. Tratti distinti, capelli corti e bianchi, occhi vivaci, sguardo impaziente, l’anziana donna è accompagnata premurosamente da un operatore sanitario, che con voce calda e pacata le domanda: “La vede?”.
Sono una figlia e una madre che si incontrano dopo una lunga separazione e si abbracciano teneramente, di nuovo unite grazie al telo che le protegge. Entrambe indossano la mascherina. “Finalmente! Non ci speravo più!”, esclama la madre, con la voce soffocata dalla stretta dell’abbraccio. Un gesto semplice, ma potente, capace di suscitare una gioia intima, profonda, e di donare un senso di completezza a chi lo riceve e a chi lo dona. “Ci si abbraccia per ritrovarsi interi”, diceva l’indimenticabile Alda Merini.
E completarsi nell’abbraccio, dopo una sofferta lontananza, è il desiderio più vivo, il bisogno più urgente delle due donne. Uno scambio di poche battute – “Ti trovo in forma!” (la figlia), “Sì, dai me la cavo.” (la madre) – e sguardi intensi, mani che si toccano per recuperare il tempo sottratto al calore dell’intimità negata. Poi una domanda, scomoda, inquietante: “E tu, cosa hai deciso, hai riflettuto?”. È la madre che si rivolge alla figlia con controllata apprensione. Non viene nominato l’oggetto del discorso, evocato dalla situazione, dal contesto, dalle immagini, dai primi piani sugli occhi lucidi ma sereni dell’anziana signora.
Ed è proprio nel non detto la potenza del messaggio. ”Non lo so, ho molti dubbi…”, la risposta della giovane donna. “I dubbi aiutano, i dubbi aiutano!”, sentenzia la madre prendendo il viso della figlia tra le mani. Poi la promessa di rivedersi presto e un ultimo abbraccio. Le dita si intrecciano confondendosi tra le pieghe del telo stropicciato, il cui rumore fa da sottofondo all’intero spot, integrandosi dolcemente come suono nella musica, quasi scivolandovi morbidamente.
“Devi volerti bene!”. Con questa frase, via la mascherina, indice alzato a raccomandare di tener presente il suo consiglio, la madre saluta la figlia che annuisce. Poi, quasi per magia, come scosso energicamente da un vento poderoso, il telo comincia a sollevarsi; l’anziana donna ne accompagna il movimento allargando le braccia, mentre la figlia assiste estasiata allo spettacolo sotto i suoi occhi. Uscito di scena il grande telo, la stanza degli abbracci è ora la stanza liberata: dalla paura, dai dubbi, dalle preoccupazioni.
In questi tempi di scenari distopici – socialità interrotta, relazioni a distanza, “vita in trance e rintanamento in sé”, come ha acutamente osservato il sociologo Giuseppe De Rita – Tornatore ci ha ridestato sintonizzandosi sul canale dell’emotività e puntando su quei gesti semplici, naturali, istintivi, imprescindibili per dare slancio e vitalità alla vita affettiva: abbracciarsi, baciarsi, stringersi, toccarsi. Sicuramente l’obiettivo perseguito dal regista, stimolare la riflessione attraverso un “clima emotivo” capace di generare un forte impatto, pur nella sua leggerezza, è stato centrato. Il risultato: un prodotto di arte raffinata, che parla per suggestioni e tocca, sfiorandole, le corde più profonde dell’animo umano.
Il messaggio non è spiattellato. Solo alla fine dello spot compare il simbolo della campagna di vaccinazione anti-Covid, una primula rosa. Il fiore, disegnato dall’architetto Stefano Boeri, allude alla primavera e richiama l’idea di risveglio dopo un inverno lungo e cupo. Durante il filmato non c’è traccia dello slogan “L’Italia rinasce con un fiore”, se non nel finale. In qualche rapido passaggio, dietro la giovane donna si intravede sul muro una sorta di pannello recante le primule simbolo della campagna pubblicitaria. Ma l’inquadratura non è mai nitida, non si riconoscono distintamente i fiori, che sembrano piuttosto chiazze di colore rosa. Un chiaro segnale della volontà del regista di non aggredire lo spettatore con un messaggio univoco, confezionato e imposto con autorità. Nessuna intenzione didascalica, l’interpretazione è suggerita con garbo, eleganza e sobrietà; lo spettatore è rispettato, non violentato con espedienti di facile presa che forzano sentimenti e sensibilità.
Il breve dialogo tra le due donne, con le perplessità della figlia, l’osservazione (di leopardiana memoria) sull’utilità del dubbio, suggerita dalla saggia madre, l’esortazione a volersi bene, può ben rappresentare una di quelle conversazioni quotidiane che si tengono in famiglia tra genitori e figli. Dove la semplicità delle parole e l’affettuosità dei gesti hanno potere terapeutico e forza persuasiva. Al di là del covid e di ogni contingenza che possa collegarsi alla situazione attuale, nello spot quelle parole di nuda essenzialità, quegli abbracci pieni di dolcezza rappresentano le parole e i gesti dell’amore, della premura, della tenerezza. Quelli che suggellano i legami affettivi e li rendono unici, vivi e senza tempo.
Nunzia Campanelli