
Avrebbe dovuto affrontare il Benevento con la fascia da capitano al braccio tra una settimana, al Franchi, in quella che era diventata la sua casa, “la sua dimensione”, come l’aveva definita non molto tempo fa. Ma Davide Astori, vittima di un destino brutale, non ha avuto nemmeno il tempo di scendere in campo quest’oggi, nel match delle 15.00 contro l’Udinese. Davide, nel fiore dei suoi anni, non ha avuto nemmeno il tempo di poter vedere crescere la sua figlioletta di appena 2 anni. Davide non ha avuto nemmeno il tempo di poter invecchiare affianco alla propria consorte. È scomparso prematuramente, a 31 anni, ed ha lasciato un vuoto immenso, nella sua squadra, nella sua società, nel calcio italiano e nel mondo, che diffonde la notizia di una tragedia che scalza la semplice giornata di sport che ci apprestavamo a vivere, come ogni santa domenica, come un rito che chi ama il calcio ripropone ogni settimana ma, che questo calcio moderno, ci sta togliendo dalle mani con spezzatini e anticipi degli anticipi. Beh, Davide, che noi trattiamo come un amico, come uno di noi che ama il calcio, che pratica calcio, che vive di calcio, a detta di tutti incarnava i valori di quel calcio che i tradizionalisti e i cosiddetti “nostalgici” rimpiangono. Straziante, commovente, la lettera di Gigi Buffon, che diffonde al mondo quei valori di essere umano e persona che Davide portava avanti nella vita privata e in quella professionistica. Un cuore grande, come ci raccontano le tante testimonianze che stanno arrivando dal mondo del calcio, un cuore grande che ha smesso di battere, troppo presto, a 31 anni, in una notte come tante. Un evento imprevedibile, incontrollabile, che riapre dibattiti già infuocati quando al posto di Astori, abbiamo assistito alle morti, recenti, di Morosini o degli spagnoli Jarque e Puerta: è possibile che uno sportivo, un atleta, un professionista, controllato e ogni giorno sottoposto a test fisici, possa morire così? Il procuratore capo di Udine ha dichiarato che il decesso è avvenuto per fattori naturali, in attesa dell’autopsia che ci potrà indicare di più sulle cause della sua scomparsa. Un cuore, forse, troppo fragile, come quello di Piermario Morosini, morto a causa di una rara malattia ereditaria, la cardiomiopatia aritmogena, mai rilevata negli esami medici o considerata in maniera troppo superficiale. Un’ischemia transitoria che, invece, ha colpito Cassano, nel 2011, ai tempi del Milan. Poi operato, il talento barese al “forame ovale pervio”, che avrebbe potuto fargli concludere la carriera in anticipo. Anche in quel caso, un problema che si è scoperto successivamente, al manifestarsi di un fenomeno che può strapparti da questo mondo o, fortunatamente, farti rimanere aggrappato ad esso.
Davide Astori, classe 1987, ha militato nel Milan per 5 anni dove ha fatto tutta la trafila delle giovanili, dal 2001 al 2006. Una promozione in B sfiorata a Cremona e poi il grande salto col Cagliari, dal 2008 al 2014, la Serie A e la Nazionale, con la quale ha segnato un gol, in Confederations Cup, valso il terzo posto ai danni dell’Uruguay, e unico calciatore del Cagliari dopo Riva ad essere andato a segno in azzurro. La Roma, la Champions, poi la Fiorentina e la massima carica nello spogliatoio viola, dopo l’addio di Gonzalo Rodríguez. Davide se n’è andato nel sonno, la cosiddetta morte bianca, di chi se ne va silenzioso ma fa comunque rumore, come lui su un campo di calcio, leader ma non proprio carismatico, facendo piuttosto del lavoro e della dedizione la sua fonte inesauribile di successo. E se il destino, purtroppo l’aveva già programmato, è meglio che il campo da calcio non sia stato il teatro della sua tragedia, come accaduto a tanti suoi sfortunati colleghi. Di lui, infatti, ci resterà il ricordo indelebile di ciò che su quell’erbetta ha fatto e ai suoi amici nonché compagni di avventure, il grande ricordo di un uomo solare e di altri tempi, che l’Italia calcistica e non, farà fatica a dimenticare.