“Neanche gli animali sono trattati così, i letti sono tutti attaccati e senza spazio, merda e urine ovunque e una puzza di stalla umana”: si chiama Hassan Gedi Abtidon, è di nazionalità somala, ma a Benevento è conosciuto e amato da tutti come Gedi. “Adesso, però, Gedi a Benevento non c’è più. È nel Centro per i Rimpatri di Bari e parla sconvolto, dice che vuole raccontare a tutti quello che succede in una Struttura della Repubblica Italiana che dovrebbe ospitare persone umane. È una storia che non avremmo mai voluto raccontare perché poteva e doveva essere una storia di integrazione di successo. Una di quelle perfette, a lieto fine per una persona e per una intera comunità che lo aveva accolto. Gedi è arrivato nella Casa Circondariale di Benevento nel 2012 e lì il Centro Ascolto Carcere promosso dalla Caritas Diocesana di Benevento ha accolto da subito le sue richieste di beni di prima necessità perché Gedi era privo di qualunque aiuto materiale. Grazie alla Caritas e grazie alla mediazione degli Educatori del carcere, Gedi ha ricevuto l’attenzione e la considerazione che gli hanno consentito di ritrovare sé stesso in quanto uomo e non detenuto. Nel Carcere di Benevento Gedi si è impegnato, ha lavorato, ha persino avuto un encomio “per il particolare impegno e senso di responsabilità” mostrati durante le attività lavorative“. A raccontare la storia di questo ragazzone somalo voluto bene da tutti è la pagina Facebook “Sale della Terra”.
Dopo i primi permessi premio, la stima verso Gedi è cresciuta fino a fargli guadagnare la possibilità di muoversi liberamente sul territorio. Un passaggio importante, reso possibile dall’atteggiamento responsabile e di ravvedimento mostrato da Gedi che, così rinforzandosi, ha apprezzato con pazienza e tenacia le piccole evoluzioni della sua “lotta per la libertà”. Anche per le autorità, dunque, Gedi era pronto a reintegrarsi e far ritorno nella società prima del suo fine pena definitivo.
Gedi – prosegue la nota – prende a casa nel centro storico di Benevento, lavora con un contratto come bracciante nell’agricoltura coesiva della Rete “Sale della Terra”, al Bistrot “Alimenta”, nel progetto S.I.P.L.A. Sud – “Sistema Integrato di Protezione per i Lavoratori Agricoli”, nel Centro Aziendale “Gioosto” Ma è all’Orto di Casa Betania” che Gedi viene conosciuto e amato da tutta la città di Benevento. Ne diventa il simbolo e il punto di riferimento, l’animatore e il tutor. Gedi e l’Orto sono l’identificazione dell’accoglienza, della coesione sociale e della possibilità di riscatto che la Costituzione Italiana prevede dopo un percorso di detenzione. Gedi ha scontato la pena. Tutta. Ma per la legge italiana non basta scontare la pena, non bastano i contratti di lavoro, non basta essere il punto di riferimento di una comunità, non basta essere una persona amata, “restituita” alla bellezza e alla umanità, non basta essere accolti e voluti, non basta amare quella che si considera la propria città. La pena ha fatto di lui una persona rieducata, ma non basta.
A Gedi, richiedente asilo, è stato notificato decreto di espulsione. Non sono bastati dieci anni di vita integrata perfettamente. Non è bastato nulla. E mentre lo trasferivano a Bari, la comunità “Sale della Terra” si è attivata, lo ha raggiunto a Bari, lo ha incontrato e gli ha promesso che questo legame non si spezzerà. Intanto la città si sta interrogando e si sta mobilitando e, nell’appello per la raccolta delle firme si legge, tra l’altro, anche che “Gedi ama Benevento e non l’avrebbe mai lasciata. Benevento è una città piccola e Gedi fa parte di Benevento, fa parte delle nostre famiglie.
Gedi parla con tutti, gioca con i bambini, si confronta con gli amici beneventani sulla sua vita e su quello che vorrebbe fare. Gedi è amico, è zio, è nipote, è fratello di tutti quelli che lo conoscono. Questo è stato possibile solo per merito suo. I bambini lo aspettano nell’area giostrine dell’“Orto di Casa Betania”. Gedi guarda al futuro con speranza. Rispetta questa città che gli ha dimostrato che un’altra vita è possibile. Gedi deve rientrare nella sua città, perché è giusto così. Restituitecelo. È una cosa giusta”.
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