Il 6 luglio, nel carcere minorile di Airola, un detenuto psichiatrico minorenne di origini albanesi si è procurato più volte tagli in tutto il corpo con oggetti rudimentali. L’episodio non è, però, isolato. Già il 29 giugno, stando alla denuncia di Sabatino De Rosa, vice responsabile regionale del settore minorile del sindacato autonomo di polizia penitenziaria (SAPPE), lo stesso detenuto “continua a lesionarsi il corpo, ha anche aggredito un altro ristretto e provocato una rissa in mensa. Sono continue le minacce di morte agli agenti, contro i quali ha lanciato anche una scrivania”. Ci sono altri due casi denunciati da De Rosa come quello di un ristretto che più volte ha ingoiato le pile del telecomando, “mentre altri due hanno tentato di aggredire il barbiere”.
L’IPM di Airola è il secondo carcere minorile sul territorio campano dopo quello di Nisida. I ragazzi ospitati provengono per la maggiore dal napoletano e dal salernitano, solo raramente da altre regioni o paesi. Attualmente il numero dei ristretti è di 35 su una capienza di 46. Qui la gestione dei detenuti minorenni con disturbi psichiatrici è sempre più complessa e complicata ed “è grave che – secondo quanto riferisce Donato Capece, segretario generale del SAPPE -, pur essendo a conoscenza delle problematiche connesse alla folta presenza di detenuti psichiatrici, le autorità competenti non siano ancora stati in grado di trovare una soluzione. Ogni giorno nelle carceri italiane, per adulti e minori, succede qualcosa ed è quasi diventato ordinario denunciare quel che accade tra le sbarre”, guardando sia dal lato dei detenuti che da quello del sotto organico penitenziario.
Il problema della gestione dei detenuti psichiatrici – che sono in carcere dopo la chiusura degli O.P.G. con la legge 81/2014 – resta, però, aperto sia a livello locale che nazionale, ed è una questione che “merita attenzione ed una urgente e compiuta risoluzione”, riferisce Capece. Il caso dell’IPM di Airola è infatti uno dei tanti esempi a livello nazionale di disinteresse della politica e dell’opinione pubblica che accolgono la “questione carcere” come un sistema il cui fine è quello di rieducare i detenuti, quando la rieducazione deve coinvolgere la stessa opinione pubblica. Quindi, chi fa il punto dalla legge 81/2014 alle residenze delle misure di sicurezza (Rems)? E chi sulle attuali condizioni di detenzione e sul numero di capienza effettivo? Quali sono le condizioni e la gestione dei disturbi psichiatrici negli istituti? In che modo si affronta il diritto dell’affettività in carcere? Perché la legge Siani è stata bloccata per anni? Questioni riconducibili ad una domanda: cosa accade al detenuto – e ai suoi affetti – dopo la sentenza della pena?
Il presidente di Antigone Campania, Luigi Romano, con il suo Potere e violenza nelle carceri italiane, presentato all’ex Convento San Felice lo scorso 6 luglio, ha tentato di innescare un dibattito sul tema insieme agli avvocati Stefania Pavone, Nico Salomone, Andrea De Longis e Riccardo Polidoro. Il carcere – scrive Romano – è un “enorme laboratorio sociale” che sperimenta strategie normative su questioni sociali complesse: “cosa accade al corpo recluso quando si riducono le ore d’aria da quattro a due? Fino a che punto posso stressare l’emotività di una particolare tipologia di detenuti?”. Pensate alla mancanza di un’ora d’aria e il sovraffollamento in carcere, in cella, durante una pandemia e alla dimensione e cura degli spazi interni ed esterni, “la cura medica delle dipendenze, il contenimento chimico delle ansie reattive e dei disturbi mentali, il funzionamento della sorveglianza a distanza, la reazione psicofisica ai molteplici regimi di chiusura”.
Parlare del carcere, per quanto sia un sistema autoreferenziale, significa parlare delle condizioni di detenzione dei ristretti, della macchina legislativa che c’è dietro, del rapporto tra genitorialità e sistema, e dello status delle tante strutture; tutte questioni affrontate solo dagli “addetti ai lavori” e che trovano poco spazio nelle narrazioni mediatiche. Ci si chiede, a questo punto, se le cose cambieranno se, però, a cambiare è il carcere.
Giorgia Zoino
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