Un calcio al razzismo, la storia dell'Atletico Brigante
Continuiamo il nostro viaggio nel variegato mondo delle associazioni sannite che si impegnano nel portare avanti diverse attività sociali, culturali. Oggi raccontiamo la storia dell’Atletico Brigante. Una squadra di calcio popolare, antirazzista, antifascista e antisessista giunta al suo terzo anno di attività. Un progetto nato nel 2014 dalla passione e dall’ostinazione di un gruppo di giovani che crede in un altro mondo possibile.
E’ proprio una di queste giovani, Paola, a spiegare idee, obiettivi e finalità della squadra. “L’Atletico Brigante è una squadra di calcio perché siamo profondamente convinti che il calcio, quello sport bellissimo, senza frontiere ne nazioni, di cui nessuno può rivendicarne la proprietà, possa essere il mezzo per abbattere stereotipi e pregiudizi imposti dalla società normalizzata contro cui combattiamo quotidianamente. Non si tratta però di una società sportiva tradizionale. La nostra società infatti è priva di qualsiasi struttura verticistica al proprio interno. Nell’Atletico Brigante siamo tutti parte di un progetto collettivo in cui giocatori, sostenitori e “dirigenti” formano un unico corpo militante, un’unica grande famiglia”.
Oltre allo sport, portate avanti altri progetti?
“Si certo. Al di là dello sport, il Brigante porta avanti anche altri progetti. Tra questi la scuola di Italiano per migranti, Oltre Confine, un progetto che è nato in seno al Brigante ma che ha trovato tra i compagni del CSA Depistaggio e in tanti singoli un forte interesse e una grande partecipazione. La scuola è nata perché tutti siamo convinti della necessità della conoscenza della lingua italiana per connettere soggetti e culture differenti. E infatti il Brigante, nella sua composizione attuale conta una quasi totalità di giocatori migranti, provenienti da diversi paesi africani, richiedente asilo politico e in Italia in attesa di permesso di soggiorno.”
Nelle sue prime due stagioni l’Atletico Brigante ha militano nella III categoria del campionato FIGC, non senza difficoltà. Quali sono stati i problemi più difficili da affrontare?
“Fin dal principio abbiamo avuto problemi relativi alle strutture sportive accessibili in provincia. Per due anni infatti, l’impossibilità di trovare strutture fruibili in maniera gratuita nella città di Benevento, ci ha spinti a cercare altrove gli spazi necessari per gli allenamenti settimanali e per le partite in casa. Il primo anno quindi il Brigante ha giocato a Pago Veiano e il secondo anno ha disputato le sue gare sul campo di Pietrelcina. La volontà era però quella di avvicinarci sempre più alla città di Benevento, per coinvolgere i tanti migranti che negli ultimi tempi hanno iniziato a popolarla. Un’altra difficoltà riguardava sicuramente l’aspetto economico. Le stagioni calcistiche sono lunghe e impegnative e l’iscrizione a un campionato FIGC, anche se solo di III categoria, richiede delle spese davvero ingenti. La nostra società non ha alle spalle una dirigenza che finanzia le attività. Ogni attività del Brigante è infatti autofinanziata. Solo grazie al sostegno dei supporters, che hanno partecipato sempre con molto affetto alle lotterie di autofinanziamento o ai tesseramenti organizzati di anno in anno per finanziare appunto la squadra, e all’impegno di ogni giocatore e di tutta la società, è stato possibile iscriversi per due anni consecutivi al campionato.
L’ultima difficoltà, per noi la più grande, riguardava e riguarda ancora oggi, il tesseramento dei ragazzi migranti. La politica della FIGC è fortemente discriminatoria nei loro confronti, e con un organico composto quasi nella sua totalità da ragazzi proveniente da paesi africani, ci siamo trovati di fronte a una burocrazia profondamente razzista.
In due anni la cosa più bella che siamo riusciti a creare è stata sicuramente il rapporto di profonda amicizia con i tantissimi richiedenti asilo presenti sul nostro territorio e l’interazione che si è creata con le persone su ogni campo in cui andavamo. I migranti che oggi militano nell’Atletico Brigante, secondo le norme discriminatorie della Figc, non avrebbero potuto giocare con noi un nuovo campionato. A noi non va più di vedere ragazzi che si allenano tutta la settimana, puntualmente sugli spalti a ogni partita perché non possono giocare, in attesa che sia espletato tutto l’iter burocratico per il loro tesseramento. Per un italiano basta un documento di riconoscimento e il codice fiscale per essere tesserato. Basta inserire il tutto per via telematica e in 24 ore il tesseramento è fatto. Per un migrante il primo tesseramento invece deve passare per Roma a cui bisogna spedire: Certificato di residenza anagrafica, permesso di soggiorno con scadenza non inferiore al Gennaio dell’anno successivo, dichiarazione di non aver mai giocato in una squadra nel proprio paese. In un contesto di precarietà diffusa, di gestione affaristica dell’accoglienza, di razzismo di stato, mediatico e di strada, essere in possesso di questi requisiti non è semplice. Quindi puntualmente ci siamo trovati con una squadra forzatamente dimezzata. Nonostante le molte campagne fatte, per il momento i passi in avanti sono stati pochi e le regole rimangono queste ultradiscriminatorie.
Insomma a noi non va davvero più di fare i salti mortali per poter partecipare ad una competizione sportiva che si basa su norme di questo tipo. Lo abbiamo fatto per due anni, ma quando non si riesce a praticare una rottura che possa far cambiare le cose è anche giusto provare a tornare sui propri passi e trovare nuove soluzioni. Noi non vogliamo più spiegare ad un nostro fratello che non può giocare perché non ha un documento o perché per lui ci vogliono tempi infinitamente più lunghi per essere tesserato. Ci siamo stancati di essere compatibili ad un’idea di sport, ma anche di vita, che non ci ha mai rappresentato. Non ce la sentiamo più di far parte di questo gioco.
Così abbiamo deciso di abbandonare il campionato federale, ma certo non abbiamo deciso di abbandonare il calcio e i campi di questa città e provincia”.
Anche dinanzi a tanti ostacoli continuerete a portare avanti il progetto?
Il Brigante continua ad allenarsi ogni settimana al campo sportivo Meomartini di Benevento in vista di un altro campionato, che metteremo su dal basso, con chi vorrà praticare questa nuova strada insieme a noi (a tal proposito stiamo parlando con la Uisp e invitiamo chiunque sia interessato a partecipare ad un campionato amatoriale a contattarci).
Continueremo a giocare a calcio, ovviamente, perché amiamo questo sport e perché è davvero uno strumento formidabile per stare insieme abbattendo frontiere e pregiudizi. A tal proposito, è di questi giorni la notizia della nascita di una nuova squadra di calcio antirazzista in provincia. Il Brigante, insieme ad alcuni fratelli di Molinara, ha messo su una seconda squadra antirazzista, che milita e si allena nel piccolo borgo fortorino, composta da ragazzi del posto e da tanti richiedenti asilo da poco arrivati in paese.
Insomma, il nuovo percorso del Brigante è appena iniziato, e non abbiamo nessuna intenzione di farci fermare da organizzazioni discriminatorie come la FIGC. Com’è stato finora, naturalmente, il percorso è lungo e impegnativo, e abbiamo bisogno del supporti di tante e tanti per andare avanti. Chiunque voglia percorrere questa strada insieme a noi, in qualsiasi modo, è il benvenuto.
F.M.